Nuvola Fuksas - Spaini

La trasparenza, specie notturna, è molto suggestiva, e anche per chi sfreccia in auto sulla Colombo è possibile vedere il volume bianco della nuvola attraverso la perfetta trasparenza della facciata.

Lo spazio interno appare fantasticamente luminoso, preciso, con dettagli costruttivi di livello nord europeo, e la forma pura della teca completamente vetrata offre squarci suggestivi dell’unico quartiere di Roma che sembra predisposto ad accoglierla, e molto bene la assimila, senza sovrastare gli altri edifici che affacciano sull’asse della Cristoforo Colombo.

La perfetta stereometria del volume puro è invasa e allo stesso tempo esaltata dalla nuvola sospesa, oggetto etereo dalla forma libera che galleggia nello spazio con la sua materia impalpabile, senza spessori murari o strutturali: un capolavoro architettonico esaltato da virtuosismi strutturali, ben più impressionante dei tanti render diffusi sui media ad ogni nuova sindacatura romana.

Luigi Prestinenza Puglisi e altri critici hanno già elogiato diffusamente le qualità del progetto, che tutti possiamo apprezzare, ma che a mio avviso non bastano.

Le qualità di un’opera pubblica oggi vanno trovate nella procedura virtuosa, e nella rispondenza alle esigenze dell’utenza, unico parametro oggettivo del successo di un progetto di uno spazio pubblico e dal pubblico finanziato. L’architettura di livello può certamente essere discussa, ma chi sa lavorare come Massimiliano Fuksas difficilmente sbaglia linguaggio.

Chi scrive ha partecipato al concorso di architettura per il nuovo Centro Congressi all’EUR, e a tanti altri quali il MAXXI al Flaminio, la nuova Stazione Tiburtina e il MACRO di via Nizza, tutti andati in porto, cioè costruiti e gestiti, ma tutti indistintamente con grande fatica.

Il Centro Congressi, bandito tra i primi, è l’ultimo in dirittura di arrivo dopo i noti travagli, e la sua prossima inaugurazione pone due grandi quesiti:

– Il progetto è stato un successo dal punto di vista della pubblica utilità e del vantaggio per il cliente, l’EUR, che è uno strano animale posseduto al 90% dal Tesoro e al 10 % da Roma Capitale? (Si tratta infatti di un ente anomalo con funzioni che vanno dalla gestione condominiale del patrimonio immobiliare alla realizzazione di progetti complessi per la Roma del terzo millennio)

– Qualcuno sarà in grado di gestire in utile o in pareggio una struttura di questa complessità?

La mia risposta è un doppio no.

L’inconsistenza –tecnica ma anche istituzionale– del “cliente”, un programma funzionale vago partito in un modo (la sala da diecimila) e poi cambiato più volte in corsa, insieme alla mancanza di uno studio di fattibilità vero, sono gli argomenti che a mio parere rischiano di portare a un mega flop annunciato.

Da almeno venti anni chi si occupa di progettazione di lavori pubblici si trova continuamente a valutare la congruità del programma espresso dall’Amministrazione appaltante, con i vincoli quali la posizione e la dimensione dell’area nel suo contesto, la potenzialità di trasformazione, ed il budget a disposizione per la realizzazione dell’opera.  Almeno chi ritiene che l’etica e la trasparenza del processo siano requisiti preliminari e inderogabili per spendere il denaro pubblico.

Il concorso vinto da Massimiliano Fuksas per il Centro congressi all’EUR è una delle occasioni in cui queste pre-condizioni erano assolutamente carenti o mancavano del tutto.

Il fatto che ad oggi non sia dato conoscere il futuro gestore –e quindi quanto realizzato potrebbe non essere in linea con le strategie operative– è il vero problema. Si tratta di un problema ricorrente nell’intero settore delle opere pubbliche italiane, specie nei beni culturali (sono ad esempio frequenti le realizzazioni di restauri senza un preventivo studio per un programma funzionale e gestionale), ma talvolta anche nella programmazione e gestione delle nuove infrastrutture.

Non è tuttavia un problema solo italiano, un esempio simile è il progetto della Ciudad de la Culturadi Peter Eisenman, realizzato a Santiago de Compostela in Galizia nello stesso periodo, forse più simile nella sua drammaticità alla piscina di Calatrava a Tor Vergata che non alla Nuvola di Fuksas, ma parimenti emblematico per il non-ruolo svolto dal progettista nelle fasi decisionali.

Si tratta di un programma molto ambizioso, lanciato sull’onda dello strepitoso successo del Guggenheim di Bilbao, da subito evidentemente destinato al fallimento, non solo per l’aumento dei costi da 109 a 400 milioni di euro, ma per la localizzazione sbagliata e per la evidente enorme sovrastima della possibile utenza. Oggi quel sito è un’archeologia contemporanea in disfacimento: sono stati eseguiti solo alcuni edifici, gli altri non si sa se e quando saranno mai finiti. Il suo costo di solo mantenimento è altissimo.

A prescindere dalla responsabilità del cliente, non posso credere che un architetto con l’esperienza e l’intelligenza di Peter Eisenman non si sia accorto dell’assurdità del programma e dell’incapacità del cliente di capirne le drammatiche conseguenze: era forse troppo impegnato a calcolare le pendenze dei suoi tetti-pareti per la fruizione dei roller?

Credo che il dovere di un progettista responsabile sia quello di condividere il programma del cliente, e anche di criticarne i difetti, e forse di rinunciare all’incarico se intravede un possibile fallimento.

Il progetto della Nuvola, che ha attraversato forse 4 tra Sindaci e Commissari, ha avuto alterne vicende e subito feroci polemiche, ma non ho mai saputo che Massimiliano Fuksas entrasse nel merito dei contenuti del suo progetto, o che abbia mai valutato possibili tagli o aggiustamenti per contenerne i costi.

Paradossale il fatto che il complesso sarà inaugurato da una sindaca che ha fatto della lotta agli sprechi e allo stop di ogni cubatura la sua bandiera politica e la sua strategia urbanistica, che evidentemente è oggi molto fumosa e incerta.

Nel merito del progetto romano, va fatta una prima considerazione generale: quello che si vede realizzato fuori terra ormai da anni non è il Centro Congressi, e non lo è la Nuvola, la formidabile icona per cui l’edificio è da anni conosciutissimo in città e fuori, e che fa già parte del suo immaginario contemporaneo.

Il Centro Congressi propriamente detto si trova alla quota -10 dalla strada, con nove sale che possono essere configurate tra loro in modo diverso, mentre la teca in vetro e la nuvola, pur assorbendo una quota consistente del budget, potrebbero non essere mai state costruite, e al loro posto esserci un bel prato verde, e tutto funzionare perfettamente, con un risparmio di  almeno 150 milioni di euro e la perdita dei soli 1600 posti della sala sospesa.

In altre parole, la sala sospesa (da 1600 persone) è solo una delle 10 sale, vero esempio di acrobazia strutturale, inspiegabilmente lussuosa e probabilmente con il costo/mq più alto al mondo per spazi di questa natura.

La grande teca è a sua volta una scatola che contiene la sala, ma non funge da atrio delle altre sale interrate, che sono invece servite da scale mobili esterne. Non essendo climatizzata è anche uno spazio con un pessimo comfort estivo, nonostante dispositivi di aerazione a mio parere poco efficaci. Il clima romano sostanzialmente non permette una copertura vetrata senza sistemi di ombreggiamento utilizzati per impedire l’irraggiamento zenitale nei mesi estivi. Lo spazio di circolazione non ha una funzione precisa, se non di vago deambulo per fotografare la nuvola sospesa al di sopra di esso.

Allora io dico che il progetto è un flop nella misura in cui molto evidentemente non utilizza al meglio le risorse finanziarie, e parliamo di decine di milioni di euro: conseguentemente doveva essere realizzato in modo diverso, e anche se il progetto vincitore del concorso  indicava una scelta e un’immagine precisa, ci voleva il coraggio di ripensare la soluzione architettonica e rivedere le priorità nel supremo interesse della città.

Si è parlato di costi lievitati, di parcelle milionarie: molto semplicemente, invece di gridare allo scandalo, andava esaminato il bando di gara, il budget a disposizione, e conseguentemente i motivi per cui qualcuno ha rimosso tali vincoli apparentemente inderogabili, fattore che ha portato alla mancata copertura finanziaria dei costi (tra l’altro gli extra costi non sono scaturiti da accidenti in corso di esecuzione, ma da evidenti e gravissime sotto valutazioni del progetto che, colpevolmente, non è mai cambiato).

Infatti, se i costi lievitano, delle due l’una: o il progettista non li ha saputi contenere nel budget a disposizione, oppure i costi di costruzione erano stati sottovalutati dall’Amministrazione appaltante. In entrambi i casi c’è un responsabile, che nel mondo reale dovrebbe essere chiamato a giustificare il suo operato, e a pagare i danni che procura.

Non credo che siano questi i tempi per accettare tanta spregiudicatezza senza far sapere al pubblico la realtà dei fatti. A Fuksas, che nel 2000 ha diretto una Biennale di Venezia con il titolo Less Aestethics, More Ethicsvanno chieste spiegazioni sul suo atteggiamento auto-referenziale, assolutamente indifferente al sacro mantra dell’opera pubblica: il miglior progetto al minor costo. Avrebbe dovuto avvertire il cliente che il progetto sarebbe costato il doppio del budget, e non sviluppare il suo progetto di concorso senza una condivisione delle responsabilità future e un’allerta delle conseguenze.

A chi ha promosso questa opera e l’ha fatta finanziare resta la responsabilità che reputo più grave: quella di non saper fare il cliente, assai diffusa in Italia, tipica cifra del ceto politico medio.

Sembra infine superato dalla realtà dei fatti lo scollamento evidente tra la progettazione e l’esecuzione, dove al progettista non viene affidata la Direzione dei lavori (che non la vuole, tenendo per se l’ambiguo ruolo di Direzione Artistica, pagata a tempo, senza limiti…), per una evidente impreparazione a svolgere il ruolo di salvaguardia degli interessi del cliente. Si origina così il balletto delle responsabilità, che porta alle polemiche e all’accettazione supina degli “inevitabili” raddoppi dei costi. Questo non potrebbe succedere se i progettisti si candidassero a gestire anche l’esecuzione dei lavori e se le Stazioni appaltanti capissero il loro ruolo e lo sapessero (volessero) esercitare.

In una città come Roma che affronta oggi un futuro quantomeno incerto sulle grandi scelte di sviluppo, data la condivisa emergenza lavoro, il caso del Centro Congressi all’Eur rischia di rappresentare il fallimento di un modo certamente vecchio, ma tuttora in auge, di realizzare un’opera, che poteva rappresentare un segnale di rilancio per una città allo sbando, dove l’unico segnale che passa è quello di non fare nulla per evitare il sicuro malaffare.

Filippo Spaini

Industriarchitettura © Foto di copertina

http://www.industriarchitettura.it/2016/10/05/la-nuvola-di-fuksas-100milapoltrona-di-filippo-spaini/

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